Tumore del fegato, attenzione alla sindrome metabolica
Le basi per la salute cardiovascolare futura si gettano presto. Tanto più se ci sono fattori di rischio. Almeno 4 milioni di persone in Italia sono in pre-diabete e altrettanti già diabetici.
Un’ epidemia
Non ci si ammala di diabete di tipo 2 da un giorno all’altro, all’improvviso. Ci si arriva con una «lunga marcia» che inizia tanti anni prima della diagnosi, senza che ce ne accorgiamo; a un certo punto però potremmo renderci conto di essere su una cattiva strada, perché si entra in una condizione di pre-diabete in cui la glicemia ancora non è troppo alta, ma è oltre il livello di guardia.
La condizione
Da qui sarebbe possibile tornare indietro, con un po’ di impegno, e farlo potrebbe salvare la vita, perché quando si ha il pre-diabete c’è il 60 per cento di probabilità in più di andare incontro al diabete di tipo 2 ma soprattutto è già più alto della norma anche il rischio di eventi cardiovascolari come infarti e ictus, di tumori, di malattie renali o agli occhi.
Le persone che dovrebbero rallentare la «marcia» verso una definitiva debacle del metabolismo degli zuccheri sono tantissime e spesso insospettabili: un recente studio statunitense ha dimostrato come fra chi ha un metabolismo «sano», secondo le definizioni standard, uno su cinque abbia in realtà il metabolismo di un pre-diabetico, con oscillazioni della glicemia che virano pericolosamente verso l’alto durante la giornata. È ciò che accade nelle persone con diabete, che hanno tanti picchi glicemici seguiti da cali consistenti della glicemia: in chi ha il pre-diabete i picchi sono solo meno acuti, ma l’andamento è identico.
Il test
I ricercatori se ne sono accorti grazie a un monitoraggio glicemico continuo che ha consentito di individuare anche i casi di pre-diabete meno evidenti, ma un semplice test sul glucosio nel sangue a digiuno spesso basta a capire se ci siamo incamminati sulla strada sbagliata, per poter correre ai ripari.
I numeri
Un’epidemia nell’epidemia: accanto ai quattro milioni di italiani con il diabete e a un altro milione che ce l’ha senza esserne consapevole, ci sono almeno altri quattro milioni di concittadini con il pre-diabete. Secondo alcune stime, secondo cui il problema riguarderebbe almeno un adulto su tre, potrebbero essere perfino di più.
Meglio quindi non mettere la testa sotto la sabbia, anche perché per sapere se il metabolismo degli zuccheri sia o meno fuori equilibrio basta un semplice prelievo di sangue per misurare la glicemia.
I valori
Il pre-diabete si ha quando la glicemia a digiuno è fra 100 e 125 mg/dl oppure se l’emoglobina glicata, che è indicativa dell’andamento della glicemia negli ultimi due tre mesi, è compresa fra il 5.7 e il 6.4 per cento; la diagnosi arriva anche se ci si sottopone a una «curva da carico» di glucosio, bevendo una soluzione di zucchero concentrato, e dopo due ore la glicemia è ancora fra 140 e 199 mg/dl (quando tutto funziona come si deve, l’azione dell’insulina «spazza» via in breve tempo il glucosio dal sangue consentendone l’immagazzinamento nelle cellule). In tutti questi casi, il metabolismo degli zuccheri è alterato e la strada verso il diabete di tipo 2 è spianata. «Non solo, è anche più alta la probabilità di sviluppare un tumore ed è maggiore di circa il 20 percento il rischio di avere una malattia cardiovascolare precoce», specifica Angelo Avogaro, presidente della Società Italiana di Diabetologia (Sid).
Le «Bandierine Rosse»
«Poiché le basi per la salute cardiovascolare futura si pongono già attorno ai 30, 35 anni, questa è anche l’età in cui è opportuno iniziare a controllare la glicemia con regolarità, come raccomandano le più recenti linee guida dell’American Diabetes Association— continua lo specialista—. Specie se ci sono “bandierine rosse” che aumentano il rischio di diabete, fra cui per esempio essere nati sottopeso o sovrappeso, da genitori con diabete, oppure avere il colesterolo “buono” HDL basso e i trigliceridi alti, o ancora avere il girovita largo (superiore a 88 centimetri nelle donne, 102 negli uomini, ndr), indicativo della presenza di un pericoloso accumulo di grasso addominale».
Cosa si rischia: 14 anni di vita in meno
Il pre-diabete fa male, quasi quanto il diabete di tipo 2 di cui è l’anticamera. E poiché accelera la comparsa del diabete, può pure accorciare l’aspettativa di vita: secondo un’indagine pubblicata su The Lancet Diabetes & Endocrinology a fine anno, un pre-diabete giovanile e una diagnosi di diabete di tipo 2 che arrivi entro i 30 anni riducono la speranza di vita di ben 14 anni. Stando a questa analisi, condotta su oltre un milione e mezzo di persone in 19 Paesi ad alto reddito, se si riesce a posticipare la comparsa della malattia intorno ai 40 anni si vivono in media «solo» 10 anni in meno, se la diagnosi arriva a 50 anni il «taglio» si riduce a 6 anni; in media, l’effetto negativo sull’aspettativa di vita è maggiore nel sesso femminile. «Quanto più si è giovani quando si sviluppa il diabete di tipo 2, tanto maggiori sono i danni. Riconoscere precocemente le anomalie della glicemia e intervenire per modificarle può tuttavia prevenire le complicazioni a lungo termine del diabete», concludono gli autori.
Chi dovrebbe controllarsi
«Anche chi è sedentario, in sovrappeso od obeso, oppure i pazienti ipertesi o in trattamento con farmaci per la pressione alta è a rischio di pre-diabete e dovrebbe controllare la glicemia, iniziando sicuramente non oltre i 45 anni, se non si è cominciato a farlo prima», aggiunge Riccardo Candido, presidente dell’Associazione Medici Diabetologi (Amd). «Dovrebbe controllarsi senza indugio anche chi ha già avuto malattie cardiovascolari e tutti coloro che hanno familiari di primo grado con diabete di tipo 2; sono a maggior rischio di sviluppare il pre-diabete anche le donne che hanno sofferto di diabete in gravidanza o che hanno partorito un bimbo con un peso superiore ai quattro chili. Sebbene per il pre-diabete non ci siano differenze di genere evidenti, le donne devono porre particolare attenzione perché il diabete gestazionale è un elemento di forte pericolo e perché sono in sovrappeso più spesso degli uomini».
I sottotipi
L’eterogeneità dei fattori di rischio è probabilmente uno dei motivi per cui non tutti i pre-diabete sono uguali, almeno stando a una ricerca dell’Istituto per la Ricerca sul Diabete e le Malattie Metaboliche di Tubinga, in Germania, pubblicata su Nature Medicine: gli esperti ne hanno individuati sei differenti tipi, diversi anche per gli esiti.
Così per esempio chi è obeso, ha abbondante grasso epatico, i tessuti resistenti all’azione dell’insulina e una scarsa produzione di insulina fa parte del sottotipo 5, con un rischio molto alto e immediato di sviluppare il diabete; ha un rischio simile il sottotipo 3, in cui c’è un aumento della glicemia associato a un’elevata produzione di insulina e soprattutto a una chiara predisposizione genetica. Il sottotipo 6, in cui il grasso epatico è un po’ meno e si produce più insulina, ha invece una probabilità più moderata di progredire verso il diabete, ma un alto rischio di sviluppare problemi renali e cardiovascolari. C’è invece chi, come le persone del sottotipo 4, è sovrappeso od obeso ma con un grasso distribuito soprattutto nel tessuto sottocutaneo e senza un deterioramento significativo della glicemia: in questi casi la probabilità di progressione verso il diabete è più bassa, così come nei sottogruppi 1 e 2 in cui il sovrappeso è un po’ inferiore e la glicemia meno elevata, sebbene oltre la soglia per la diagnosi di pre-diabete.
Le differenze
«La grossa differenza è nella presenza o meno di resistenza all’insulina, tipica di chi è sovrappeso od obeso, o nella riduzione della produzione dell’ormone», commenta Candido. «Tuttavia, se per la ricerca è utile capire i meccanismi alla base del pre-diabete, a livello clinico e pratico è bene continuare a considerarli tutti ugualmente ad alto rischio e intervenire cambiando lo stile di vita». «Può essere utile semmai verificare se il pre-diabete sia isolato o ci sia una sindrome metabolica e quindi trigliceridi alti», aggiunge Avogaro, «perché in questo caso per esempio è più opportuno che mai ridurre i latticini e la frutta, visto che il fruttosio (anche come dolcificante, ndr) entra nelle cellule senza bisogno della mediazione dell’insulina e stimola la produzione epatica di trigliceridi».
Il ruolo del grasso addominale
La dieta è fondamentale per contrastare il pre-diabete, anche perché è uno dei capisaldi per ridurre il grasso addominale che «strozza» gli organi interni ed è particolarmente dannoso per il metabolismo. Non a caso poco tempo fa uno studio pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology ha dimostrato che la glicemia può tornare normale, e il pre-diabete regredire, perdendo il 5 per cento del proprio peso nell’arco di un anno ma soprattutto a livello del girovita: chi dimagrisce altrove, magari dello stesso numero di chili, non ottiene gli stessi positivi risultati perché la resistenza all’insulina da parte dei tessuti rimane elevata.
Eliminare il grasso viscerale, stando ai risultati, significa «guarire» dal pre-diabete e interrompere la marcia verso il diabete, tanto che il rischio di ammalarsi si abbatte del 73 per cento. La gestione del peso è indispensabile e deve passare, oltre che dall’alimentazione, da un aumento dell’esercizio fisico perché come specifica Avogaro «Anche la dieta più virtuosa o più rigida non consente di ottenere davvero buoni risultati, se non si associa a un’adeguata attività motoria. Che, peraltro, aiuta anche a concedersi qualche caloria in più a tavola».
Il minimo esercizio
I 30, 40 minuti di camminata almeno cinque giorni a settimana sono il minimo; per molti centrare l’obiettivo resta difficile perché, come ammette Candido «l’ambiente in cui viviamo non aiuta a seguire stili di vita sani e serve una forte motivazione per mantenersi attivi e non seguire modelli alimentari sbagliati: servirebbero politiche attive per sovvertire il paradigma, da una maggiore educazione a scuola, fin dalla prima infanzia, a interventi per rendere più “complicato” fare scelte sbagliate, un po’ come è successo con la legge anti-fumo che è stata la prima, vera responsabile della riduzione del numero di fumatori».
I farmaci
Da un cambio virtuoso delle abitudini non si può scappare, ma esistono farmaci da poter usare per aiutarsi nell’impresa di «bloccare» il pre-diabete? «A oggi nessun farmaco è approvato con l’indicazione alla terapia del pre-diabete», risponde Candido. «Tuttavia in numerosi studi scientifici principi attivi come metformina, acarbosio, pioglitazone hanno dato buoni risultati, perciò in casi selezionati il medico può decidere di prescriverli», conclude il presidente dell’Associazione Nazionale Diabetologi.
Che cos’è il pre-diabete e perché è meglio controllare
la glicemia a partire dai 30-35 anni
Fonte: Corriere della Sera